domenica 2 settembre 2012

Il ritorno. Temporaneo.

Avevo iniziato a scrivere questo blog più di un anno fa, quando sono stata costretta a casa (praticamente a letto) per circa due settimane, a causa di un incidente. Era da tanto che volevo tornare alla mia passione per la scrittura e l’idea di un blog in quel momento mi è parsa allettante. Mi sentivo che avevo delle cose da dire e, cosa strana, avevo anche voglia di condividerle. Poi sono tornata al lavoro, ho ripreso la mia vita frenetica e l’incanto è svanito. Ho portato avanti il blog giusto per un paio di mesi, “grazie” anche ad un’influenza.
Perché allora ritorno a scrivere ora? Ho più tempo? La mia vita è meno frenetica di prima? Purtroppo no. Anzi, siamo sinceri, questo ritorno di fiamma probabilmente neanche durerà a lungo e questo rimarrà solamente un articolo isolato.
Però tutto è (ri)nato dal fatto che sono circa sei mesi che vivo da sola, in un bilocale all’estrema periferia di Roma, molto vicino al luogo dove lavoro. E sto cercando di assestarmi, (non solo economicamente), visto che esco da un anno non proprio semplice (mi chiedo se abbia mai affrontato anni semplici!)
Poi c’è di mezzo una vacanza di pochi giorni ad Amalfi, durante la quale, nella biblioteca del B&B presso il quale ho soggiornato, il mio compagno di viaggio ha scovato un libro: “Adesso basta” di Simone Perotti. L’autore del libro è stato un affermato manager aziendale che, soggiogato dalla sua esistenza frenetica e consumistica, che non lasciava spazio alle sue passioni, ha deciso di mollare tutto e cambiare vita. E in questo libro spiega il suo lungo percorso interiore e come è riuscito a realizzare questo suo progetto.
In ultimo c’è la serata di venerdì scorso che ho piacevolmente trascorso con la mia nuova compagnia teatrale, durante la quale ad un certo punto si è parlato di mettere sul tavolo idee e creatività. Era mezzanotte, io tornavo da una settimana lavorativa massacrante, (alla fine delle quale avevo sempre qualche altra cosa da fare, appuntamenti ai quali ovviamente arrivavo in ritardo), e idee proprio non ne avevo, se non quella di andare a dormire. E mi sono ripetuta una cosa che mi ripeto spesso ultimamente: così non va. Sono schiava del sistema.
Sono schiava di alzarmi tutte le mattine alle 6.30, di fare un lavoro che non è quello che sognavo quando studiavo Chimica all’Università, di arrivare sempre in ritardo agli appuntamenti perché so quando entro in azienda ma non so quando ne esco, di ridurre le mie passioni perché non ho tempo né energie per soddisfarle tutte… Lo so che sono fortunata ad avere un posto fisso, (almeno quello che si intende per “posto fisso” in questi tempi di crisi), e soprattutto sono fortunata perché faccio un lavoro inerente a ciò che ho studiato. Oddio, in realtà buona parte del mio lavoro potrebbe farla benissimo un chimico diplomato in gamba e sveglio, non è che serva proprio una laurea. Ma non mi devo lamentare, perché conosco gente che ha studiato e adesso per lavoro fa tutt’altro, e non per scelta. Inoltre non sono una persona che si lagna in generale. E, soprattutto, sono fermamente convinta che il lavoro nobiliti l’uomo.
Il lavoro sì, ma lo stress no.
Da quando vivo da sola non posso permettermi di sdraiarmi sul divano quando torno a casa stanca. C’è casa da pulire, lavatrici da fare, cene (seppur spartane) da preparare e piatti da lavare. E una conclusione è, tra le tante, che leggo meno di prima. Quando non torno proprio a casa tardi, magari mi capita di finire di stendere i panni a mezzanotte, quando sono troppo stanca per leggere, e così spengo la luce e mi addormento. Sennò alle 6.30 il giorno dopo sicuramente non mi alzo. E non posso permettermi di scegliere di non alzarmi.
Continuo sempre a coltivare la mia passione per il teatro, ho una nuova compagnia con cui mi sto trovando molto bene, ho attualmente due copioni in mano e, mentre uno l’ho momentaneamente abbandonato, l’altro lo studio superficialmente la sera. Per fortuna che ho buona memoria. Peccato che da sola non basti a fare di me una discreta attrice, se non trovo le energie di lavorare sul personaggio.
Stamattina poi mi è successa una cosa. Ero al bar a bere una crema di caffè, quando entra un piccolo micio. Il proprietario del bar subito sbraita contro la barista affinché lo cacci, a quel punto io pago e il micino me lo  porto via io. Dove? Mi chiedo. Lungo la strada del bar passano le macchine e non è sicuro. Era magro e così decido di dargli da mangiare, lo carico in macchina, vado al supermercato e compro acqua, scatolette e ciotoline. Ritorno indietro con il gatto, (in una strada con poche macchine), e lo sfamo. Mentre mangiava lo guardavo e pensavo: e ora che faccio con lui? Magari ha una mamma nei paraggi dove l’ho trovato. Alla fine lui si infila in un giardino e i proprietari mi dicono di lasciarlo pure lì da loro, che forse è della villetta accanto e che comunque loro hanno anche un altro gatto. Speriamo bene, penso io. E mi dico che forse non sono proprio un’animalista doc se decido di lasciarlo lì, nell’incertezza. Così quando torno in macchina, diretta verso casa dei miei, penso che, se avessi tempo (ed energie sempre), una cosa che mi piacerebbe fare davvero tanto è dedicarmi agli animali. Invece non ho tempo di far parte di un’associazione di volontariato e, quei pochi fine settimana che non sono sepolta dagli impegni, voglio solo stare a casa a risposare (come oggi) e non ho la forza neanche di andare a trovare la cagnetta che ho adottato insieme ad altre ragazze nella pensione dove è custodita.
Dulcis in fundo, la scrittura. La mia prima, più grande passione. Ormai morta e sepolta. Posso mettermi a scrivere davanti ad un computer dopo una giornata stressante? Anche se riuscissi a tenere a freno il mal di testa che ne scaturirebbe, si dovrebbe poi risolvere il problema dell’ispirazione. Che, ahimè, non  viene più. Se non qualche volta in sogno.
E così la conclusione alla quale sono giunta, prima ancora di leggere quel libro, è che sono schiava, come la quasi totalità delle persone, del sistema. Di un sistema che a me non sta più bene, ma nel quale sono immersa e che certo non posso ignorare. Anche perché, se mi licenziassi, senza soldi non solo non mangerei, ma soprattutto non darei sfogo a molte delle mie passioni, prima fra tutte quella di viaggiare. Generalizzando tendo a dare la colpa di tutto al capitalismo, (sebbene non possa non riconoscerne dei vantaggi), ma quando lo dico ad alta voce vengo banalmente etichettata come comunista.
Qual è la soluzione a tutto questo? Oggi ancora non lo so. Probabilmente non è la stessa di Simone Perotti e di chi, come lui, ha praticato il downshifting, ma sono sicura che una soluzione adatta a me esiste e non è molto lontana da chi predica la filosofia slow. Non mi arrenderò a cercare un’alternativa. Nel frattempo continuo a fare quello che mi riesce meglio, che poi è nato con la mia immensa passione per la Chimica e la Scienza in generale. E faticherò per piazzare almeno due o tre delle mie passioni nei ritagli di tempo. Forse impiegherò vent’anni, ma un desiderio oggi mi appare chiaro: non voglio morire continuando a fare quello che faccio oggi.

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