giovedì 14 febbraio 2013

La Noia

Dunque, come avrete notato dalla data del (pen)ultimo articolo, ho qualche difficoltà a ricominciare a scrivere.
E non è più un problema di tempo.
Ma di idee.
Ecco, questa è la cosa peggiore.
Uno scrittore senza idee è uno scrittore morto o, almeno, in coma. Io mi sto risvegliando dal mio coma letterario, perciò ho bisogno di un po’ di tempo affinché i miei ingranaggi, un tempo a regime, tornino ad ingranare.
Almeno spero!
Ho bisogno d’aiuto, così oggi mando un sms implorante all’amicasuomalgrado, colei che dall’alto della sua saggezza mi ha suggerito di scrivere un articolo a settimana, nonché una delle pochissime (due?) persone che mi legge:
“Che cazzo scrivo?”
Mi aspettavo un qualche improperio, dal momento che è a letto con 40°C di febbre, invece mi ha suggerito un tema molto bello.
La noia, appunto.
L’ho capito subito che la ragazza era di parte, ma io ho fatto comunque il suo gioco, perché mi ha ricordato un argomento a me caro.
La noia ed io non siamo mai andate molto d’accordo.
Fin da piccola ho sempre lavorato assiduamente per tenerla alla larga, ingolfando ogni giorno della mia vita di attività ed appuntamenti. Ma il nemico, che tanto vigorosamente combattevo, mi ha incastrata quando mi sono laureata, in quel periodo in cui ci si ritrova a far i conti con quella stanchezza e quel senso di precarietà, che solo una laurea sa lasciarti addosso. Mi imbattei per caso (?) in un bellissimo libro, che mi è parso subito azzeccato per affrontare il nemico con dignità e rispetto:
La filosofia della noia.
Che è un elogio della noia molto ben scritto e con numerosi, interessanti riferimenti bibliografici.
Da allora la noia, (intesa come l’otium latino), ed io abbiamo cominciato a fare amicizia. Peccato che, per la precisione e per ironia della sorte, io abbia iniziato a rincorrere disperatamente la noia e questa abbia iniziato continuamente a sfuggirmi.
Mi piacerebbe moltissimo avere più tempo da dedicare alla mia noia.
Amo la casa e la solitudine e trovo gratificante trascorrere del tempo in queste quattro mura, che con tanta passione ho scelto e personalizzato a mio gusto. Spendiamo molto tempo e denaro per trovare una casa che ci piace, in una zona adeguata, ad un prezzo sostenibile e poi ancora per arredarla e trasformarla in un’estensione di noi stessi… ma poi in questa casa ci finiamo solo per dormire, mangiare e lavarci.
Diciamocelo: è uno spreco.
A me piace persino pulirla la mia casa, adoro addirittura spolverare, perché così ho la scusa per toccare gli oggetti che ho scelto di portarmi dietro. Mi piace spolverare e riordinare soprattutto i libri. Non riesco davvero a stare a casa ed annoiarmi, nel senso comune del termine. Non sento il bisogno di uscire o di invitare amici. Non sempre almeno.
Mi piace stare seduta sul divano a gambe incrociate, o sul letto con la schiena appoggiata alla spalliera, o qui sul tavolo, come adesso, con il mio computer davanti.
E scrivere.
Oppure sul divano o nel letto a leggere o a guardare film.
Oppure a pensare a un ricordo, a una vacanza, a una persona.
Oppure filosofeggiare sul significato della mia vita, sulla Natura, su Dio.
Oppure stare affacciata al balcone, con un barattolo di gelato, a guardare i gatti e le persone che passano e ad immaginare le loro vite.
Oppure stare davanti allo specchio a ripetere la parte di un copione imparato a memoria, per tentare di trovare, al di là, il personaggio, dargli vita, caratterizzarlo.
E se avessi ancora più tempo mi rimetterei a studiare. Non a leggere, proprio a studiare.
A riprendere in mano tutti quei meravigliosi libri di Chimica che mi hanno accompagnata per anni, a studiare tutta la letteratura da Dante ai giorni nostri, a studiare la Biologia, che non ho mai approfondito come volevo, la Fisica, e molto altro ancora.
Proprio l’altro giorno parlavo con un laureando in Chimica e ad ascoltare i suoi racconti ho provato una nostalgia incredibile, non tanto del periodo in sé, ma dello studio, e mi sono ricordata che proprio la sera prima, mentre leggevo a letto, ho pensato che qualche anno fa ho comprato un libro sul Diritto dell’Ambiente che avevo iniziato a studiare, a sottolineare, ma che poi ho abbandonato per mancanza di tempo. E di energie.
Perché quel poco tempo e quelle energie residue alla fine di una giornata lavorativa è bene indirizzarli verso i nostri affetti, i nostri interessi, ma necessariamente bisogna fare delle scelte. E se non scegli e metti troppa carne al fuoco rischi un esaurimento nervoso.
Io pagherei davvero denaro, pur non avendone molto, per avere più tempo per stare a casa ad “annoiarmi”.
E ammiro chi invece ce l’ha.

martedì 15 gennaio 2013

I vantaggi della volpe che non arriva all’uva

Negli ultimi giorni mi è capitato di pensare alla mia (non) carriera. E di vederla sotto una diversa prospettiva.
E, lo devo riconoscere, parte del merito va ai libri sul downshifting di Simone Perotti.
Quando ho iniziato a lavorare per l’azienda presso la quale ancora lavoro ero entusiasta e molto eccitata, come spesso mi accade di fronte a situazioni nuove e stimolanti. Ed ho riconosciuto subito la mia grande fortuna: laureata prima di Natale, ho fatto giusto in tempo a godermi il viaggio di laurea, che prima di Pasqua già stavo lavorando. Per un’azienda che tra l’altro non avevo mai sentito nominare: mi avevano contattata loro. Come si fa a non essere felici per questo? Sarebbe uno schiaffo alla miseria! E poi ero esaltata anche perché, in quanto nuova arrivata, (ma questo l’ho capito solo qualche anno dopo), ero molto caricata dai miei capi, che mi promettevano il paradiso per fomentarmi, farmi lavorare più volentieri e quindi produrre di più.
Ma col tempo la mia carriera non è andata come avevo immaginato all’inizio e come me l’avevano dipinta. E’ stata molto, ma molto più discreta, sebbene non possa negare che qualche soddisfazione me l’abbia regalata.
Negli anni ho fatto di tutto per emergere, non tanto verticalmente, nel senso di scalare la piramide del successo, quanto orizzontalmente, poiché volevo specializzarmi maggiormente in determinate mansioni tecniche, fino a diventare un valido consulente. Ma per una serie di ragioni che non sto a spiegare, dipendenti ovviamente anche da me e non solo dagli altri, questa sperata carriera non è mai arrivata.
E così mi ritrovo come la volpe che non è arrivata all’uva, in sostanza: la suddetta carriera non mi interessa più.
Quando ho acquisito questa consapevolezza, ho subito ammesso che in realtà mi sono rassegnata perché, in questa azienda, non ho alternative, e la crisi economica non mi aiuta a trovare un lavoro migliore. E che quindi non c’è niente di lodevole nella mia rassegnazione. Come la volpe che dice che non è più interessata all’uva perché non arriva a prenderla, così io non sono più interessata alla mia carriera perché non l’ho ottenuta. Ma oggi, dopo soli otto anni di lavoro, per quanto questo possa sembrare forzato, sono contenta che le cose siano andate così. C’è chi arriva alle mie conclusioni dopo vent’anni o anche dopo la pensione. E chi purtroppo non ci arriva mai. Io non mi posso lamentare.
Sono assolutamente convinta che nulla accade per caso, o almeno nella mia vita è stato così. E sono convinta che anche la mia mancata carriera non sia stata un caso. Perché, ambiziosa come ero, se avessi fatto la scalata al successo, avrei finito col vivere principalmente per lavorare, dimenticandomi che invece si lavora per vivere. E questo è un concetto che adesso per me è fondamentale. Naturalmente credo che sia un vantaggio se il nostro lavoro ci piace, visto che dobbiamo trascorrere lì almeno nove ore della nostra breve giornata, ma io tutto sommato posso dire che questo è il mio caso. Non posso dire che il mio lavoro non mi piace affatto, che non sia inerente ai miei studi, così come non posso negare che la mancanza di grosse responsabilità mi concede degli innegabili privilegi. Quello che mi interessa ora è fare bene il mio lavoro per guadagnarmi lo stipendio a fine mese, e poi cogliere l’occasione della non-carriera per dedicarmi alla mia vita privata. Della serie: non tutti i mali vengono per nuocere. O, se preferite, dietro ogni difficoltà c’è un’opportunità.
I primi anni in cui ho lavorato facevo una vita assurda: trascorrevo al lavoro anche dodici ore al giorno, mi facevo pagare tutti gli innumerevoli straordinari, perché non avrei potuto usufruire del conto ore accumulato, e poi frequentavo un corso d’inglese privato, (che detestavo, (non mi è mai piaciuto studiare le lingue), perché sapevo che con un pessimo inglese, quale era il mio, non sarei andata da nessuna parte. E’ stato giusto così e sono contenta di aver fatto tutto questo, (soprattutto perché l’inglese mi permette di ascoltare meravigliose storie). Insomma, non rimpiango assolutamente nulla. Ma adesso penso sia giunto il momento di lavorare senza arrivare ad un esaurimento nervoso oppure sempre in ritardo agli appuntamenti, e senza dover rinunciare a fare ciò che realmente mi gratifica. E, perché no, anche a riposare, se ne sento il bisogno o ne ho voglia.
Così oggi ho fatto una mossa che considero profetica per il nuovo anno: ho firmato un foglio in cui dichiaro che per tutto il 2013 (almeno) carico gli straordinari interamente in conto ore. Quei pochi che faccio. Sì, perché non è che ci sia tutto il gran lavoro che c’era prima della crisi del 2009, e poi anche perché, pur non negando la mia disponibilità, (che però non è più incondizionata come prima), una volta terminato il mio orario di lavoro, voglio spendere il mio tempo godendomi la mia vita. E quei pochi straordinari che faccio, andando in conto ore, fanno sì che io quel tempo dedicato al lavoro possa recuperarlo nella vita privata. Come dice una persona speciale: il tempo libero non ha prezzo. Soprattutto se il prezzo è misero, aggiungo io.
E così, dopo otto anni, sono arrivata alla conclusione che il lavoro nobilita l’uomo, ma che la vita è troppo breve per essere spesa solamente a lavorare. E che invece dobbiamo prenderci del tempo, il più possibile, per coltivare i nostri interessi. Io voglio dedicare il mio tempo libero alle poche persone che amo, al mio gatto, agli animali in generale, ai viaggi, al teatro e alla scrittura. Tutte cose che mi rendono felice e mi fanno sentire bene.
E non è un caso se proprio oggi che ho firmato quel foglio, sono uscita dal lavoro in perfetto orario e ora sono qui, seduta al tavolo della mia bella ed accogliente casetta, a scrivere.

lunedì 14 gennaio 2013

Ci vendono tutto, tranne quello che ci serve: la felicità

Ci tengo a pubblicare un estratto del discorso tenuto dal Presidente dell’Uruguay, Josè Alberto (detto Pepe) Mujica Cordano, alla conferenza mondiale Rio+20 il 21 giugno 2012 a Rio de Janeiro.
E’ esattamente il mio pensiero degli ultimi anni, ma io non avrei saputo esprimerlo meglio.
Prima di leggere l’articolo ci tengo a spendere due parole per quest’uomo, perché ritengo che sia importante contestualizzare questo discorso. Quest’uomo è stato un guerrigliero durante il periodo della dittatura, è stato arrestato ed ha trascorso in carcere circa 15 anni.
Questa breve descrizione della sua vita è tratta da Wikipedia.
Con un passato da guerrigliero ai tempi della dittatura, è stato eletto come deputato, senatore ed infine tra il 2005 ed il 2008 ha ricoperto la carica di ministro "de Ganadería, Agricultura y Pesca". È stato il leader della corrente del Movimento di Partecipazione Popolare, settore maggioritario del Frente Amplio fino alle sue dimissioni avvenute il 24 maggio 2009. Il 30 novembre 2009 ha vinto le elezioni presidenziali, battendo al ballottaggio Luis Alberto Lacalle.
Dal 2005 è sposato con la senatrice leader storico del MPP Lucia Topolansky a seguito di una lunga convivenza. E' vegetariano.
Mujica riceve dallo stato uruguaiano un appannaggio di 12.000 dollari al mese per il suo lavoro alla guida del paese, ma ne dona circa il 90% a favore di Organizzazioni non governative ed a persone bisognose. La sua automobile è un Maggiolino degli anni '70. Vive in una piccola fattoria nella periferia di Montevideo. Il resto del suo stipendio è circa di 1.500 dollari; in un'intervista il presidente ha dichiarato: "Questi soldi mi devono bastare perché ci sono molti Uruguaiani che vivono con molto meno!"
Ed ora l’estratto del discorso. Buone riflessioni a tutti!
Perché abbiamo creato una civiltà, quella in cui viviamo, figlia del mercato e della concorrenza, che ci ha portato un progresso materiale portentoso ed esplosivo. Ma ciò che è nato come “economia di mercato” è diventato “società di mercato”. E ci ha portato questa globalizzazione, che significa doversi occupare di tutto il pianeta. La stiamo governando, la globalizzazione, o è la globalizzazione a governare noi? Non veniamo al mondo per 'svilupparci' in termini generici; veniamo al mondo con il proposito di essere felici. Perché la vita è breve e ci sfugge tra le mani. E nessun bene vale quanto la vita, questo è elementare. Ma se la vita finisce per sfuggirmi, lavorando e lavorando per consumare un di più, la società del consumo è il motore di tutto questo. In definitiva, se si paralizza o si rallenta il consumo, si rallenta l’economia; e se rallenta l’economia, è il fantasma della stagnazione per ciascuno di noi.”Ci vendono tutto, tranne quello che ci serve: la felicità”.
“Lo sviluppo non può andare contro la felicità: dev’essere a favore della felicità umana, dell’amore sulla Terra, delle relazioni umane, della cura dei figli, dell’avere amici, del non privarsi dell’indispensabile”. “Come governanti, esprimiamo la sincera volontà di accompagnare tutti gli accordi che questa nostra povera umanità possa sottoscrivere. Tuttavia, ci venga concesso di porci qualche domanda a voce alta. Per tutto il pomeriggio si è parlato di 'sviluppo sostenibile', per togliere masse immense dalla povertà. A cosa ci riferiamo? Il modello di sviluppo e di consumo che abbiamo in mente è quello attuale delle società ricche? Un’altra domanda: cosa succederebbe, a questo pianeta, se gli indiani avessero la stessa proporzione di auto per famiglia che hanno i tedeschi? Quanto ossigeno ci rimarrebbe per respirare? In altre parole: il mondo possiede oggi gli elementi materiali per fare in modo che 7-8 milioni di persone possano avere lo stesso livello di consumo e di spreco delle più ricche società occidentali? Sarà possibile, o dovremmo forse mettere la discussione su un altro piano? Perché abbiamo creato una civiltà, quella in cui viviamo, figlia del mercato e della concorrenza, che ci ha portato un progresso materiale portentoso ed esplosivo. Ma ciò che è nato come “economia di mercato” è diventato “società di mercato”. E ci ha portato questa globalizzazione, che significa doversi occupare di tutto il pianeta. La stiamo governando, la globalizzazione, o è la globalizzazione a governare noi? È possibile parlare di solidarietà e dire che siamo tutti uniti, in un’economia basata sulla competizione spietata? Fino a che punto arriva la nostra fraternità? La sfida che abbiamo davanti è di una dimensione epocale. E la grande crisi non è ecologica: è politica. L’uomo, oggi, non governa le forze che ha creato; sono queste ultime a governare l’uomo e la nostra vita. Non veniamo al mondo per 'svilupparci' in termini generici; veniamo al mondo con il proposito di essere felici. Perché la vita è breve e ci sfugge tra le mani. E nessun bene vale quanto la vita, questo è elementare. Ma se la vita finisce per sfuggirmi, lavorando e lavorando per consumare un di più, la società del consumo è il motore di tutto questo. In definitiva, se si paralizza o si rallenta il consumo, si rallenta l’economia; e se rallenta l’economia, è il fantasma della stagnazione per ciascuno di noi. Ma è proprio l’iperconsumo che sta aggredendo il pianeta. Ed è proprio l’iperconsumo a generare cose che durano poco, perché bisogna vendere molto. Una lampadina elettrica non può durare più di mille ore. Ci sono lampadine che possono durare centomila, duecentomila ore, ma non possono essere fabbricate, perché il problema è il mercato, perché dobbiamo lavorare e dobbiamo avere una civiltà usa e getta. Siamo in un circolo vizioso: questi sono problemi di carattere politico, che ci portano a comprendere la necessità di lottare per un’altra cultura. Non si tratta di tornare all’uomo delle caverne, né di fare un monumento al regresso. E’ che non possiamo continuare indefinitamente ad essere governati dal mercato: dobbiamo governarlo noi, il mercato. Per questo, nel mio umile modo di vedere, dico che il problema è di tipo politico. I vecchi pensatori – Epicuro, Seneca, gli Aymara – dicevano: povero non è colui che ha poco, ma chi ha indefinitamente bisogno di molto – e desidera e desidera, sempre di più. Questa è una chiave di carattere culturale. Dobbiamo renderci conto che la crisi dell’acqua e la crisi dell’aggressione all’ambiente non sono una causa: la causa è il modello di civiltà che abbiamo costruito. E ciò che dobbiamo rivedere è il nostro modo di vivere. Appartengo a un piccolo paese, ricco di risorse naturali per vivere. Il mio paese ha poco più di tre milioni di abitanti, ma ci sono 13 milioni di vacche tra le migliori al mondo. Abbiamo 10 milioni di pecore stupende. Il mio paese esporta cibo, latticini, carne. È un territorio pianeggiante, utilizzabile quasi al 90%. I miei compagni lavoratori hanno lottato molto per le 8 ore di lavoro, e adesso stanno ottenendo le 6 ore. Ma chi lavora solo 6 ore si trova un altro lavoro, e quindi lavora più di prima. Perché? Perché deve pagare una serie di rate, la bella moto, la bella macchina. E paga e paga, alla fine è un vecchio reumatico come me, e la sua vita gli è sfuggita. Domando: è questo il destino della vita umana? Queste cose sono elementari. Lo sviluppo non può andare contro la felicità: dev’essere a favore della felicità umana, dell’amore sulla Terra, delle relazioni umane, della cura dei figli, dell’avere amici, del non privarsi dell’indispensabile. Proprio perché questo è il tesoro più prezioso che abbiamo, ricordiamocelo; quando lottiamo per l’ambiente, il primo elemento dell’ambiente si chiama: felicità umana”.

giovedì 3 gennaio 2013

Il ritorno. Definitivo. Per ora.

Eccomi qui.
Anno nuovo, vita nuova.
Be’, ad essere sinceri, l’anno veramente innovativo è stato quello passato, non so se quest’anno riuscirò a stravolgermi la vita altrettanto bene.
Francamente mi auguro proprio di no.
Ma i buoni propositi da nuovo anno non si negano a nessuno.
Proprio perché quello scorso è stato un anno molto intenso ed impegnativo, per il 2013 ho adottato la filosofia della semplicità.
Insomma: poche cose, ma buone.
Del resto l’austerità economica imposta dalla crisi globale ben si adatta a questo nuovo stile di vita.
E’ una filosofia che ho maturato negli ultimi mesi senza averle tuttavia trovato una formulazione adeguata, quando ho scovato questa frase su uno stupido libriccino, (il cui pensiero che possa vendere migliaia di copie mi fa rabbrividire), ed ho pensato che riproducesse fedelmente la mia filosofia della semplicità:
“A me basta sentirmi bene, avere qualcuno che mi vuole bene e fare qualcosa che mi piace. Per tutto il resto… ‘sti cazzi!”
(tratto dalla quarta di copertina dell’orripilante libriccino “Il metodo sticazzi”).
Ecco, la mia filosofia 2013 è esattamente questa!
Prima di tutto la salute.
Ma quella non dipende tanto da me e del resto, non avendo mai goduto di ottima salute, (tranne, eccezionalmente, nella stagione autunno/inverno 2011), non è che mi possa aspettare miracoli, (soprattutto dopo essere sopravvissuta ad una bronchite durata due mesi). Ma una volta che c’è una salute discreta si possono fare tante cose. Cioè aiutarsi a stare bene anche emotivamente. E a me ci sono poche cose che mi fanno star bene davvero, perciò ho deciso di concentrarmi su quelle.
Il teatro.
Che da quattro anni a questa parte non è più una novità. Recitare a teatro è sicuramente una cosa che mi rende felice e che ho intenzione di portarmi dietro anche nel 2013. Abbonamento al teatro Argentina compreso, con tutte le sue “mattonate” che io tanto amo.
[Pubblicità: sarò in scena il 2 e 3 febbraio con “Non tutti i ladri vengono per nuocere”, di Dario Fo, regia di Sergio Franciosi con la compagnia teatrale Il Filo d’Arianna.]
I viaggi.
E qui viene in aiuto lo stipendio. Viaggiare è la cosa che più di tutte mi arricchisce e mi gratifica. Nonostante abbia letto centinaia e centinaia di libri, non ho mai imparato tanto come dai viaggi. La conferma definitiva l’ho avuta andando in India. Sono partita con un minimo di spirito di adattamento, tanta curiosità e flessibilità mentale, un paio di libri su questo Paese e sono tornata a casa con un bagaglio culturale immenso, grazie alle persone che ho incontrato, le storie che mi hanno raccontato e le cose che ho visto. Di recente mi è capitato di sentir parlare una giornalista in televisione, che si presentava come esperta di India, e ad ascoltarla ho pensato che, o non era brava a comunicare agli altri la sua “esperienza”, o non era affatto esperta come sosteneva. Apparentemente avevo appreso molte più cose io sulla storia, la religione e le tradizioni del popolo indiano che lei dall’alto della sua conoscenza.
Viaggiare, quindi, e non fare la turista. La differenza è sostanziale. Almeno per me.
Prendermi cura degli animali.
L’amore per gli animali è innato, anche se parte del merito lo devo rendere a mia madre, che mi ha trasmesso la sua grande passione per i gatti, (che io poi ho arbitrariamente esteso a tutte le creature viventi), e uno dei suoi più grandi insegnamenti: “diffidare delle persone che non amano gli animali”.
All’inizio non ci ho fatto molto con il mio amore per gli animali, se non qualche carezza e croccantino sparsi in giro per strada. Poi è arrivata Pilù. L’unico, vero, grande amore della mia vita. E alla fine mi sono ritrovata ad adottare un cane a distanza, (perché purtroppo non posso adottarlo davvero), e ad occuparmi di qualche cane nel canile e qualche gatto nel gattile. Ecco, quest’anno ho deciso di dedicare a queste splendide creature più tempo di quello che ho dedicato loro finora. Se necessario togliendo qualcosa agli esseri umani, che sono certa non me ne vorranno.
E dulcis in fundo, e qui arriviamo al sodo di questo “articolo”, c’è la scrittura.
Essere arrivata al sodo dopo quasi due pagine Word dimostra che in vent’anni che scrivo, nonostante la “fermata”, se c’è una cosa che NON ho imparato è il dono della sintesi. Anzi, in realtà sono migliorata, di solito parto dall’infanzia travagliata.
Scrivere è stata la prima attività che ho imparato nella vita dopo mangiare e bere. Figlia unica con problemi esistenziali, mi sfogavo scrivendo ogni genere di cose mi venisse in mente. Sono orgogliosa di dichiarare che la mia prima poesia è stata ispirata da un bicchiere rotto. Peccato che da quando ho iniziato a lavorare e a sommergermi di impegni, (attività che mi è sempre riuscita benissimo, soprattutto nel procurarmi stress), il tempo per scrivere si è talmente ridotto all’osso che l’ispirazione è praticamente scomparsa.
Finché non ho aperto questo blog.
E l’ho richiuso.
Adesso sono qui che mi dico che scrivere è un’attività che mi manca tantissimo, ma così tanto da farmi sentire una persona incompleta. E allora, visto che l’ispirazione per i racconti ancora non ritorna e quella che doveva essere la mia opera somma (sull’Irlanda) è stata praticamente abbandonata, ho deciso di ricominciare da qui.
Dal blog.
Da qualche parte bisognerà pur ricominciare. E visto che ho sempre tante cazzate da dire, ho pensato che ricominciare scrivendo articoli mi avrebbe aiutato quanto meno a riprendere la mano.
E poi ci siete voi, miei amati lettori.
Voi che mi siete talmente vicini da essere costretti a leggere ogni mio articolo e dire che è bellissimo, intelligentissimo e che sarei proprio un talento sprecato se non scrivessi più. Del resto, se volete un posto speciale nel mio cuore, dovrete pur guadagnarvelo. Voi, pochi ma buoni, fate parte di quel “qualcuno che mi vuole bene”, ma talmente bene, da sorbirvi tutto questo.
Quindi, grazie al suggerimento di un’amica, che, suo malgrado, fa parte degli sfigati enunciati sopra, ho deciso che, per riprendere costanza nella scrittura, scriverò almeno un articolo a settimana.
Ecco, questo è il primo.
Buona lettura a tutti!
E tanti auguri!

domenica 30 dicembre 2012

21.12.2012 Finisce il Lungo Computo dei Maya

Come siamo arrivati alla fine del mondo può spiegarlo solo la fantasia umana. Gli ignari Maya probabilmente non avevano previsto tanto scalpore intorno a questa data. Che è arrivata e se ne sta andando, con la stessa discrezione di quei giorni tanto attesi in cui nulla di eccezionale accade. Chi di noi non ci ha scherzato su questa presunta fine del mondo, qualcuno purtroppo l’ha anche presa sul serio, comunque è certo che questa è una data che l’uomo ha deciso, così, per scelta, di rendere storica. Anche se non è scoppiata alcuna bomba, non è finita alcuna guerra, non è giunto alcun diluvio universale, né sono caduti asteroidi infuocati dal cielo. Eppure, per quanto una mente scientifica debba svilire tanta inopportuna devozione a profezie infondate, io ritengo che l’uomo sia un essere meraviglioso, (quando non è terribilmente brutale), proprio grazie alla sua creatività.
E’ proprio in virtù della creatività umana, che un grande popolo come i Maya è stato così proficuo da un punto di vista scientifico ed ha inventato tre tra i più famosi calendari della storia. Quello tanto discusso è il Lungo Computo, che si presume abbia avuto inizio l’11 agosto 3114 a.C. e il cui termine di scadenza è proprio oggi. L’inizio pare che volesse indicare il momento in cui la civiltà Maya ha visto la luce sulla Terra e la data di oggi non vuole presagire né la fine del mondo né decretare la fine del calendario. La data di oggi è “semplicemente” la fine di un’era della Terra, in seguito alla quale inizierà un nuovo ciclo. E’ dunque una data che per i Maya andava celebrata solennemente, perché da domani, 22.12.2012, ha inizio un nuovo ciclo, una nuova era.
I Maya poverini la fine di questo lungo ciclo proprio non ce l’hanno fatta a vederla, ma noi che viviamo in questa epoca storica abbiamo (anche) questo privilegio.
Di grandi cambiamenti però neanche l’ombra.
Ma probabilmente va bene così. I grandi cambiamenti, per quanto positivi, storicamente sono sempre seguiti a periodi estremamente drammatici, come la pace dopo la guerra, che lascia dietro di sé l’amara ed inconsolabile scia della distruzione e del dolore. Quelli che dovrebbero essere auspicabili sono invece i piccoli cambiamenti, quelli graduali, che avvengono giorno dopo giorno. Quei lenti cambiamenti in cui un popolo inizia a maturare l’importanza della democrazia, (senza che gli venga imposta da nazioni estere, che, mascherate da pacificatori, sfruttano la terra stessa che vanno a “liberare”), l’importanza dei diritti umani e delle donne e molto altro su cui c’è ancora tanto da lavorare, anche nei paesi occidentali considerati “sviluppati”.
Ecco come mi piace vedere la data di oggi: un giorno da festeggiare, come suggerito dagli stessi Maya, nella speranza di un’era migliore, in cui regnino più consapevolezza e rispetto. Senza aspettare che piovano dal cielo insieme agli asteroidi infuocati dell’apocalisse, ma operando noi stessi ogni giorno per migliorare almeno quel pezzetto di mondo che ci viene dato in custodia. Perché se non si migliora quello, allora i grandi cambiamenti non avverranno mai. Il mio augurio quindi è:
Buon nuovo ciclo Maya a tutti!

domenica 2 settembre 2012

Il ritorno. Temporaneo.

Avevo iniziato a scrivere questo blog più di un anno fa, quando sono stata costretta a casa (praticamente a letto) per circa due settimane, a causa di un incidente. Era da tanto che volevo tornare alla mia passione per la scrittura e l’idea di un blog in quel momento mi è parsa allettante. Mi sentivo che avevo delle cose da dire e, cosa strana, avevo anche voglia di condividerle. Poi sono tornata al lavoro, ho ripreso la mia vita frenetica e l’incanto è svanito. Ho portato avanti il blog giusto per un paio di mesi, “grazie” anche ad un’influenza.
Perché allora ritorno a scrivere ora? Ho più tempo? La mia vita è meno frenetica di prima? Purtroppo no. Anzi, siamo sinceri, questo ritorno di fiamma probabilmente neanche durerà a lungo e questo rimarrà solamente un articolo isolato.
Però tutto è (ri)nato dal fatto che sono circa sei mesi che vivo da sola, in un bilocale all’estrema periferia di Roma, molto vicino al luogo dove lavoro. E sto cercando di assestarmi, (non solo economicamente), visto che esco da un anno non proprio semplice (mi chiedo se abbia mai affrontato anni semplici!)
Poi c’è di mezzo una vacanza di pochi giorni ad Amalfi, durante la quale, nella biblioteca del B&B presso il quale ho soggiornato, il mio compagno di viaggio ha scovato un libro: “Adesso basta” di Simone Perotti. L’autore del libro è stato un affermato manager aziendale che, soggiogato dalla sua esistenza frenetica e consumistica, che non lasciava spazio alle sue passioni, ha deciso di mollare tutto e cambiare vita. E in questo libro spiega il suo lungo percorso interiore e come è riuscito a realizzare questo suo progetto.
In ultimo c’è la serata di venerdì scorso che ho piacevolmente trascorso con la mia nuova compagnia teatrale, durante la quale ad un certo punto si è parlato di mettere sul tavolo idee e creatività. Era mezzanotte, io tornavo da una settimana lavorativa massacrante, (alla fine delle quale avevo sempre qualche altra cosa da fare, appuntamenti ai quali ovviamente arrivavo in ritardo), e idee proprio non ne avevo, se non quella di andare a dormire. E mi sono ripetuta una cosa che mi ripeto spesso ultimamente: così non va. Sono schiava del sistema.
Sono schiava di alzarmi tutte le mattine alle 6.30, di fare un lavoro che non è quello che sognavo quando studiavo Chimica all’Università, di arrivare sempre in ritardo agli appuntamenti perché so quando entro in azienda ma non so quando ne esco, di ridurre le mie passioni perché non ho tempo né energie per soddisfarle tutte… Lo so che sono fortunata ad avere un posto fisso, (almeno quello che si intende per “posto fisso” in questi tempi di crisi), e soprattutto sono fortunata perché faccio un lavoro inerente a ciò che ho studiato. Oddio, in realtà buona parte del mio lavoro potrebbe farla benissimo un chimico diplomato in gamba e sveglio, non è che serva proprio una laurea. Ma non mi devo lamentare, perché conosco gente che ha studiato e adesso per lavoro fa tutt’altro, e non per scelta. Inoltre non sono una persona che si lagna in generale. E, soprattutto, sono fermamente convinta che il lavoro nobiliti l’uomo.
Il lavoro sì, ma lo stress no.
Da quando vivo da sola non posso permettermi di sdraiarmi sul divano quando torno a casa stanca. C’è casa da pulire, lavatrici da fare, cene (seppur spartane) da preparare e piatti da lavare. E una conclusione è, tra le tante, che leggo meno di prima. Quando non torno proprio a casa tardi, magari mi capita di finire di stendere i panni a mezzanotte, quando sono troppo stanca per leggere, e così spengo la luce e mi addormento. Sennò alle 6.30 il giorno dopo sicuramente non mi alzo. E non posso permettermi di scegliere di non alzarmi.
Continuo sempre a coltivare la mia passione per il teatro, ho una nuova compagnia con cui mi sto trovando molto bene, ho attualmente due copioni in mano e, mentre uno l’ho momentaneamente abbandonato, l’altro lo studio superficialmente la sera. Per fortuna che ho buona memoria. Peccato che da sola non basti a fare di me una discreta attrice, se non trovo le energie di lavorare sul personaggio.
Stamattina poi mi è successa una cosa. Ero al bar a bere una crema di caffè, quando entra un piccolo micio. Il proprietario del bar subito sbraita contro la barista affinché lo cacci, a quel punto io pago e il micino me lo  porto via io. Dove? Mi chiedo. Lungo la strada del bar passano le macchine e non è sicuro. Era magro e così decido di dargli da mangiare, lo carico in macchina, vado al supermercato e compro acqua, scatolette e ciotoline. Ritorno indietro con il gatto, (in una strada con poche macchine), e lo sfamo. Mentre mangiava lo guardavo e pensavo: e ora che faccio con lui? Magari ha una mamma nei paraggi dove l’ho trovato. Alla fine lui si infila in un giardino e i proprietari mi dicono di lasciarlo pure lì da loro, che forse è della villetta accanto e che comunque loro hanno anche un altro gatto. Speriamo bene, penso io. E mi dico che forse non sono proprio un’animalista doc se decido di lasciarlo lì, nell’incertezza. Così quando torno in macchina, diretta verso casa dei miei, penso che, se avessi tempo (ed energie sempre), una cosa che mi piacerebbe fare davvero tanto è dedicarmi agli animali. Invece non ho tempo di far parte di un’associazione di volontariato e, quei pochi fine settimana che non sono sepolta dagli impegni, voglio solo stare a casa a risposare (come oggi) e non ho la forza neanche di andare a trovare la cagnetta che ho adottato insieme ad altre ragazze nella pensione dove è custodita.
Dulcis in fundo, la scrittura. La mia prima, più grande passione. Ormai morta e sepolta. Posso mettermi a scrivere davanti ad un computer dopo una giornata stressante? Anche se riuscissi a tenere a freno il mal di testa che ne scaturirebbe, si dovrebbe poi risolvere il problema dell’ispirazione. Che, ahimè, non  viene più. Se non qualche volta in sogno.
E così la conclusione alla quale sono giunta, prima ancora di leggere quel libro, è che sono schiava, come la quasi totalità delle persone, del sistema. Di un sistema che a me non sta più bene, ma nel quale sono immersa e che certo non posso ignorare. Anche perché, se mi licenziassi, senza soldi non solo non mangerei, ma soprattutto non darei sfogo a molte delle mie passioni, prima fra tutte quella di viaggiare. Generalizzando tendo a dare la colpa di tutto al capitalismo, (sebbene non possa non riconoscerne dei vantaggi), ma quando lo dico ad alta voce vengo banalmente etichettata come comunista.
Qual è la soluzione a tutto questo? Oggi ancora non lo so. Probabilmente non è la stessa di Simone Perotti e di chi, come lui, ha praticato il downshifting, ma sono sicura che una soluzione adatta a me esiste e non è molto lontana da chi predica la filosofia slow. Non mi arrenderò a cercare un’alternativa. Nel frattempo continuo a fare quello che mi riesce meglio, che poi è nato con la mia immensa passione per la Chimica e la Scienza in generale. E faticherò per piazzare almeno due o tre delle mie passioni nei ritagli di tempo. Forse impiegherò vent’anni, ma un desiderio oggi mi appare chiaro: non voglio morire continuando a fare quello che faccio oggi.

domenica 5 giugno 2011

Il mio soggiorno ad Agrigento e il problema dell'acqua

Di tutto il meraviglioso viaggio di una settimana fatto in Sicilia (in particolare nella provincia di Trapani), ciò che mi ha più colpito non ha avuto a che fare con le bellezze naturali e culturali che ho ammirato, con la gente del posto o altro, ma ha a che fare con il problema dell'acqua ad Agrigento.
Quando siamo arrivati in questa bruttissima città, (si salva giusto il centro storico... peccato che sia mal tenuto), esausti dopo aver trascorso una giornata a visitare località e in viaggio per raggiungere la città, ci siamo diretti immediatamente al B&B al quale avevamo prenotato. I padroni di casa ci hanno accolti con la tipica cordialità siciliana, ma ci hanno detto che c'era un problema: il B&B non disponeva di acqua, perchè era saltato il turno di erogazione (si mormorava a causa di un guasto). I cassoni con l'acqua accumulata ci avrebbero forse contentito di darci una veloce rinfrescata. Loro erano mortificati, nonchè arrabbiati, (anche se hanno detto che ormai alla rabbia sta subentrando la rassegnazione), e ci hanno detto che se volevamo stare più tranquilli potevamo soggiornare nel B&B del fratello della proprietaria, dove l'acqua c'era. E così è stato...
Sapevo che in Sicilia c'era il problema dell'acqua, ma l'avevo dimenticato, perchè a Palermo e a Castellammare del Golfo non abbiamo avuto problemi. Eppure avrei dovuto pensarci che Agrigento è tristemente nota per essere la città senz'acqua. Quanto meno perchè, se l'acqua c'è, i suoi abitanti non ne usufruiscono.
La proprietaria del B&B ci ha spiegato che la società privata che gestisce l'acqua ad Agrigento e dintorni (la Girgenti Acque) non ha migliorato la situazione della distribuzione dell'acqua. Anzi, l'acqua spesso non arriva e la bolletta è anche più cara! "Noi la paghiamo l'acqua, la paghiamo per non averla! Siamo nel terzo mondo!" Ci ha spiegato anche che il dramma inizia con l'arrivo dell'estate, quando i turni di erogazione dell'acqua iniziano a saltare. E questo causa problemi alla loro attività di ospitare turisti nella loro casa, perchè quando non c'è acqua sono costretti a far scegliere alle persone se vogliono andare via. E le persone, dal momento che pagano, scelgono di andare via, esattamente come ho fatto io (pur sentendomi uno schifo per averlo fatto!)
Insomma, la conclusione è che siamo andati al B&B del fratello che, ironia della sorte, lavora proprio presso la società che distribuisce l'acqua. Molto discretamente gli abbiamo fatto diverse domande in merito, per capire il punto di vista opposto, quello di chi la privatizzazione dell'acqua la appoggia. Lui ci ha spiegato che da quando c'è questa società privata l'acqua è arrivata in zone limitrofe ad Agrigento dove prima non arrivava (godono addirittura di un turno una volta a settimana), perchè questa società ha investito nella riparazione di tubature fatiscenti ed inutilizzate nonchè nella costruzione di nuove. La mia domanda allora è stata: e perchè l'acqua continua a scarseggiare se la distribuzione è così migliorata? La risposta è stata che questa società non fornisce l'acqua, ma l'acquista da dei fornitori (chi sono??? mi chiedo io) e la società ha solo il compito di distribuirla. Se l'acqua non c'è perchè i fornitori non la danno o non ce l'hanno, allora non c'è nulla da distribuire. Ho chiesto quindi come mai questo problema si presenta soprattutto d'estate. Non è che per caso viene tolta l'acqua ai cittadini per darla alle strutture turistiche? Lui mi ha risposto che durante l'estate la città di Agrigento quasi si svuota e la popolazione si trasferisce al mare vicino la città. Quindi se durante l'anno l'80% dell'acqua viene data in città e il 20% in prossimità del mare, in estate succede il contrario perchè è più logico che sia così. Io però tutta questa logicità non la vedo... e per chi la casa al mare non ce l'ha? E proprio non mi va giù che l'acqua venga tolta ai cittadini per essere data in abbondanza ai turisti che la sprecano senza sapere quale prezioso valore rappresenta per la popolazione di Agrigento e dintorni. Il turismo deve sostenere un luogo, non sfruttarlo... ma ormai il turismo sostenibile è cosa rara e infatti ci sono associazioni apposite che lo organizzano, tanto poco è scontato... ma questo è un altro argomento. Ho spiegato a questo ragazzo che non mi pare giusto che il sistema sia un po' quello che viene adottato in Africa: i turisti che alloggiano nei resort hanno tutti i comfort e acqua in abbondanza, mentre la popolazione nei villaggi muore di fame e di sete. Lui però ha risposto che il principio del villaggio turistico, come quello della gestione privata dell'acqua, non è sbagliato, perchè queste società investono un mucchio di soldi affinchè i propri clienti abbiano il meglio. L'economia funziona così. Però mi pare che i clienti della Girgenti Acque tanto soddisfatti non siano.
L'idea che mi sono fatta io è che questo sia un bravo ragazzo che salvaguarda giustamente il proprio posto di lavoro e che forse crede davvero che la privatizzazione dell'acqua porta dei benefici, ma io ho avuto una sorta di conferma su come la pensavo prima: che proprio perchè l'acqua è un bene prezioso, nonchè indispensabile, ed un diritto dell'essere umano, non può essere dato in pasto alle società private, il cui interesse non è il meglio dei cittadini, ma il proprio guadagno. Soprattutto in un paese, la Sicilia, che è in mano alla mafia. Si dice che il privato garantisce un'efficienza che il pubblico non raggiunge, ma pare proprio che questo non sia il caso della Girgenti Acque. Che tra l'altro non risulta essere una società trasparente, perchè quando i cittadini chiamano per lamentarsi del servizio o vanno direttamente nella loro sede, non ottengono la minima attenzione. Inoltre la privatizzazione dell'acqua fa sì che, proprio in posti in cui l'acqua scarseggia e/o è mal gestita, la società ci speculi sopra. Se qualcuno (come Veltroni) pensa veramente che le società private sono le uniche che possono garantire una migliore gestione ai paesi assetati, non si rende conto che proprio quei paesi saranno i primi a pagarne le conseguenze.
Mi fa pensare poi che la Girgenti Acque vinse nel 2007 una gara di appalto per la gestione della distribuzione dell'acqua di Agrigento e dintorni e fu l'unica a concorrere... Mi aspettavo che altre aziende si sarebbero scannate per ottenere quella miniera d'oro...
E mi chiedo: davvero Agrigento non ha l'acqua? Fino a ieri credevo di sì, perchè l'acqua distribuita ad Agrigento e dintorni viene anche da lontano, persino da Palermo. Da ieri invece mi è venuto un dubbio. Documentandomi su internet ho letto che nel 2007 si è gridato al miracolo: sotto Agrigento avevano trovato delle vene nel sottosuolo ricche di acqua. Quindi non solo l'acqua c'è, ma è anche buona. Talmeno buona che è stata venduta alla Nestlè, che la gestisce, la imbottiglia e la vende sotto il nome di acqua Vera Santa Rosalia.
E parliamo un attimo di acque minerali. Dal momento che l'acqua, quando esce dai rubinetti di Agrigento, non è neanche potabile, la popolazione spende palate di soldi in acqua, non solo per una distribuzione che non funziona, ma anche per acquistare bottiglie di acqua minerale (ironia della sorte se si trattasse della Santa Rosalia) per poter bere, cucinare e quant'altro. Se entri nei bar di Agrigento trovi una scritta che evidentemente rasserena i clienti: "Tutte le bevande sono preparate con acqua minerale". A me invece quel cartello fa accapponare la pelle, perchè immagino un magazzino pieno di bottiglie di acqua comprate.
Così vivono ad Agrigento e dintorni: con cassoni sui tetti delle case per l'accumulo di acqua durante i turni di erogazione, in alcune case con le vasche da bagno piene di acqua riempite sempre durante i turni di erogazione e con i frigoriferi pieni di acqua minerale. I cittadini di Agrigento e dintorni spendono molti soldi per l'acqua... e non possono dire di goderne.

(interessante questo link: http://www.ilpuntodue.it/?q=node/24 )